Quando il negozio aprirà questa settimana, pubblicheremo un'edizione speciale della riedizione di Org Music di Tour De Force di Earl Hines. Celebrato come uno dei migliori pianisti nella storia del jazz - sebbene a volte venga dimenticato - questo album è un must per gli appassionati di jazz. Qui stamperemo le note originali di copertura presenti sul retro dell'album quando è stato pubblicato per la prima volta nel 1972.
Stamina, uno degli elementi essenziali per ogni performer jazz, è abbastanza facile da raggiungere quando l'artista è giovane e possibilmente talentuoso. Ma la capacità di resistere è molto più sfuggente, specialmente in un senso più significativo rispetto a quello di riuscire a rimanere sotto i riflettori (e anche questo si è rivelato un compito impossibile per molti musicisti che indubbiamente erano dotati, grazie alle spietate leggi economiche del settore musicale). Ma Earl Hines, dopo aver celebrato il 50° anniversario dell'inizio della sua carriera discografica, non solo è sopravvissuto a due periodi di relativa trascuratezza, ma continua a creare ancora più nuove idee e a sviluppare, letteralmente, più potenza nei suoi gomiti. Per Hines, nel suo sessantanovesimo anno al tempo, suonare con tale energia illimitata e invenzione sorprendente è davvero un tour de force.
Il confronto viene spesso fatto con l'amico e contemporaneo di Earl, Louis Armstrong, con cui ha lavorato a Chicago alla fine degli anni Venti e di nuovo dal 1948 al 1951 nei primi giorni degli Armstrong All-Stars, ed è un confronto che è particolarmente valido a livello stilistico. Ma ignora il fatto innegabile che la tromba richiede forti muscoli facciali e inesauribile potere polmonare, mentre suonare il pianoforte (anche se certamente non da sottovalutare come esercizio fisico puro) si realizza principalmente grazie a un controllo preciso delle mani e degli avambracci.
Così anche la corporatura esile di un Willie ‘The Lion’ Smith (nato nel 1897) o di un Eubie Blake (1883) produceva una musica incredibilmente vitale e incisiva. Earl Hines, naturalmente, appartiene stilisticamente alla generazione successiva a questi pianisti influenzati dal ragtime e, almeno dal giorno in cui si è lanciato su Weather Bird in quel storico duetto del 1928 con Louis Armstrong, è stato riconosciuto come il più audace improvvisatore della sua generazione.
Non sembra affatto necessario sottolineare il fatto che tutta la musica in questo album è improvvisata, eppure quanti pianisti, di fronte a una di queste canzoni standard, non suonerebbero un tema con un ritornello relativamente monocromatico (per quanto individualistico in sé) e poi procederebbero a un assolo il cui accompagnamento era più o meno prevedibile? Con Hines, nulla è prevedibile o da dare per scontato, sia che si tratti del tema, delle armonie o del ritmo.
"When Your Lover Has Gone," (tra l'altro una di quelle canzoni che non sarebbe mai sopravvissuta se Armstrong non l'avesse rimodellata in primo luogo) lo vede prendere libertà in tutte le direzioni. Il tema riceve una certa insignificanza, la sequenza degli accordi viene piegata a volte per adattarsi alla direzione dell'improvvisazione e il ritmo, abbastanza sottotono all'inizio e quasi implicando la presenza di un team chitarra-basso-batteria, successivamente esplode in un veloce valzer prima di una breve escursione nel pianoforte stride.
"Mack The Knife" offre un'opportunità particolarmente buona per studiare la varietà del lavoro della mano sinistra di Hines - non solo stride, ma anche walking bass (sia in note singole che in decime), passaggi di tempo sospeso in cui la mano sinistra diventa improvvisamente una seconda mano destra e, naturalmente, l'accento simile a un tamburo che viene tra e tra tutto il resto.
Un'altra delizia in questo set è il tema mascherato di "Say It Isn’t So" con i suoi accordi atmosferici e pesanti e, in un ritornello successivo, un incredibile passaggio di pirotecnica poliritmica che in qualche modo non riesce a disturbare il rilassato tempo medio. L'ingresso minore ingannevole di "Indian Summer" che si ripete alla fine appare anche tre quarti della strada, poco dopo una serie di tre slide o glissandi - giù e su le note bianche, e poi giù sui tasti neri del pianoforte.
Fai attenzione, anche, alle suggestioni di metà tempo nel mezzo di "I Never Knew," che non solo stuzzicano con le loro implicazioni ma preparano uno al taglio del tempo nei due ultimi ritornelli, e ai brevi riferimenti al tema nel mezzo di "Lonesome Road," non come base per improvvisazione (cfr. la generazione pre-Armstrong) ma piuttosto come punti di riferimento in un paesaggio densamente boscoso.
La natura essenzialmente improvvisativa della musica di Hines è dimostrata dal fatto che tutti questi pezzi sono stati registrati come prime riprese e, sebbene si possa avvertire una certa familiarità eccessiva con queste canzoni nel loro stato naturale e professare di conoscere abbastanza bene il pianista, sarebbe meglio seguire il magnifico esempio di Earl Hines e non dare nulla per scontato!
-Brian Priestley
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